Grande successo de "I do Rose" di Piero Delfino Pesce - "Il Palcoscenico" -
La compagnia con la regia di Nilla Pappadolopoli fa nuovamente centro.
Nell'ambito del programma per "Festa Grande":👇🏻
grande curiosità suscitava l'appuntamento teatrale con il "Gruppo teatrale il Palcoscenico" dedicata a Piero Delfino Pesce.
Come avevo detto attraverso uno scritto che presentava l'opera, trovo la scelta di questa rappresentazione aderente alla tradizione della "Festa Grande" perché racconta di una storia scritta negli anni trenta …. Ma ancora attuale.
Il fenomeno dell'immigrazione che da sempre ha coinvolto la comunità molese e la predisposizione naturale dei nostri concittadini all'estero a contribuire alle celebrazioni in onore della Madonna Addolorata.
Oggi i tempi sono cambiati...
Si dice spesso...
Ma sarà veramente così?
Intanto il fenomeno dell'immigrazione non è che sia proprio terminato, allora son cambiati i modi e la società?
A prima vista diremmo di si....
Assistendo alla performance degli attori notiamo quelle differenze con la realtà contemporanea che ci fanno sorridere.
Sembra tutto uno stereotipo sui "molesi americani"....
Ma poi perché sorridiamo al sentire "U job", "la check" se non sapessimo esattamente di cosa si tratta?
Quindi non è vero che siamo cambiati?
Si e no.
Se certi aspetti continuano ad essere simili, è inutile negare che una storia scritta negli anni '30, anche se adattata qualche decennio dopo, deve per forza mettere in evidenza alcune differenze.
Il linguaggio più pulito, specialmente delle donne che sostituiscono lo schiaffo con quello che al giorno d'oggi potrebbe essere un linguaggio più colorito.
E ne abbiamo visti di schiaffi in scena....
La compagnia guidata da Nilla Pappadopoli ha portato splendidamente in scena la commedia in tre atti di Piero Delfino Pesce (1874 – 1939).
Qualcosina è stata resa più fruibile al pubblico e differisce da quella rappresentata per la prima volta nel 1974 al Teatro “N. van Westerhout” dalla Compagnia Filodrammatica Molese diretta da Lucio Delfino Pesce, figlio dell’Autore, in occasione del Centenario della nascita dell’intellettuale molese.
Fu allora che Vitangelo Magnifico curò la traduzione in molese, che poi venne pubblicata con il testo originale a fronte e con la revisione dialettale del glottologo anglo-canadese Terry Brian Mildare, che per i suoi studi sul dialetto molese ricevette la Cittadinanza Onoraria del nostro Comune nel 2013.
Il lavoro, dunque prende nuovamente vita, dopo quasi 50 anni dall'ultima rappresentazione ed il merito del Gruppo Teatrale il Palcoscenico è quella di riproporla in maniera liberamente ispirata al copione originale.
Quella pubblicazione presenta la prefazione Francesco Saverio Minervini dell’Università di Bari che ci aiuta a capire l'opera e ci introduce verso le vicende che si materializzeranno ai nostri occhi giorno 2 e Settembre 2023 al Teatro Angioino in Mola:👇
“Il ritorno a Mola dell’emigrante Pietro è, dunque, il motivo narrativo che innesca una serie di vicissitudini psicologiche ne “Le due Rose”: il tradimento e il senso di peccato nella moglie Rosodda, il desiderio di vendetta di Pietro, marito tradito e l’impressione di onore che intende ristabilire, la tenacia sentimentale di Andrea, l’amante che non vuole rinunciare alla donna, le mire della giovane Rosina che vorrebbe accaparrarsi Pietro e la sua fortuna e che, invece, si vede costretta a ‘ripiegare’ su un Giacomo, un altro fortunato molese d’America.
Evidente è l’intenzione di Delfino Pesce di trasferire e denunciare nella tragicità dell’emigrazione la gravità della condizione economica e sociale nella quale versava la popolazione italiana e quella meridionale, in particolar modo.
Proprio in questa sottile contestazione della rottura dei legami familiari, l’avvocato molese individua la più grave ed irreparabile conseguenza delle storture della società e della politica dell’epoca; la sofferenza dell’abbandono, la corsa ad accaparrarsi una condizione migliore, il desiderio di ritorno ad uno status quo definitivamente passato animano, non a caso, la scena finale della stazione.
Quello diviene un luogo ideale, in cui si riassumono le molte sofferenze e le poche speranze, in cui si mescolano la dimensione del passato e quella del futuro, nella perenne sospensione del presente”.
Evidente è l’intenzione di Delfino Pesce di trasferire e denunciare nella tragicità dell’emigrazione la gravità della condizione economica e sociale nella quale versava la popolazione italiana e quella meridionale, in particolar modo.
Proprio in questa sottile contestazione della rottura dei legami familiari, l’avvocato molese individua la più grave ed irreparabile conseguenza delle storture della società e della politica dell’epoca; la sofferenza dell’abbandono, la corsa ad accaparrarsi una condizione migliore, il desiderio di ritorno ad uno status quo definitivamente passato animano, non a caso, la scena finale della stazione.
Quello diviene un luogo ideale, in cui si riassumono le molte sofferenze e le poche speranze, in cui si mescolano la dimensione del passato e quella del futuro, nella perenne sospensione del presente”.
Insomma questa è la storia che ci ha fatto ridere, sorridere, commuovere, parteggiare per quello o quell'altro personaggio.
Certo c'è stato chi in scena ha recitato di più, chi sarà andato a casa senza voce e qualcun altro con "una faccia così" però quello che traspare da tutte le esibizioni di questo bel gruppo è quell'aria da grande famiglia che arriva al pubblico e lo conquista.
La serata, dunque, è stata di quelle che non possono finire nel dimenticatoio e che sicuramente meritano almeno una replica come quella che ci sarà a fine mese.
E se non ci credete.....
"na quarela" non ve la toglie nessuno 😁
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